Nel 1798 il reverendo inglese Thomas Robert Malthus dava alle stampe An Essay on the Principle of Population (Saggio sul principio di popolazione) nel quale sosteneva, tra le altre idee, che l’aumento della popolazione avrebbe portato ad un eccesso di offerta di mano d’opera e quindi a salari più bassi. Conseguenza dell’aumento della popolazione sarebbe quindi stata la miseria generale. La prima reazione al testo fu la legge sul censimento, tutt’ora in atto, che impegnava il governo inglese a censire la popolazione ogni dieci anni. Nel libro Malthus sostenne anche l’utilità delle guerre come valvola di sfogo per l’eccesso di popolazione. Il suo principio era molto semplice: Siccome sulla terra ci sono risorse alimentari limitate, e queste risorse sono sufficienti per alimentare solo un certo numero di persone, un aumento della popolazione porta inevitabilmente a decidere, attraverso una guerra, quali popolazioni potranno mangiare e quali dovranno morire per permettere ai vincitori di vivere. Secondo Malthus i limiti allo sviluppo umano erano la mancanza di beni ma soprattutto la miseria e il vizio che caratterizzavano le classi sociali più povere e disadattate.
Le idee di Malthus ottennero un seguito in quasi tutti i pensatori politici e non pochi videro nelle guerre una ricerca di territori nei quali dare sfogo all’aumento della propria popolazione e nei morti una “normalizzazione” dell’aumento della popolazione mondiale che all’inizio del 1900 aveva raggiunto un miliardo di persone. La mancanza di beni preoccupò per un paio di secolo anche i ricchi della terra e nel 1972 il Club di Roma commissionò ad Aurelio Peccei uno studio sui “limiti dello sviluppo” nel quale si esaminavano quante tonnellate di alimenti erano prodotti e producibili nel mondo e quante persone sarebbero potute vivere con quei prodotti. Stessi calcoli vennero fatti per il petrolio, l’energia elettrica ed ogni bene che ci circonda. Al termine di queste analisi alcuni sentenziarono che bisognava ridurre la popolazione mondiale dai cinque miliardi (oggi 7,4 miliardi) che aveva raggiunto a un miliardo di persone, altri che bisognava trovare il modo di ammazzare 400.000 persone al giorno senza che nessuno se ne accorgesse. I fatti dimostrarono poi che l’agricoltura avrebbe potuto produrre di più di quanto previsto (oggi i beni alimentari prodotti in occidente superano del 43% i consumi e vengono distrutti; ovviamente ciò serve per mantenere alti i prezzi al consumo, indipendentemente dal fatto che qualche milione di persone muoia di fame.) e che la crosta terrestre nascondeva giacimenti di metalli e petrolio neppure ipotizzati.
Dal 1948 al 1962 l’etologo Usa Calhoun condusse una serie di esperimenti su ratti grigi e topi per studiare quali comportamenti avrebbero caratterizzato una comunità soggetta a sovrappopolazione ma senza la scarsità dei mezzi di sussistenza ipotizzata da Malthus un secolo e mezzo prima. Calhoun costruì un ambiente dove la popolazione di cavie poteva riprodursi senza occuparsi di nulla perché aveva sempre a disposizione cibo e acqua in abbondanza mentre pulizia e temperatura erano costantemente sotto controllo. Lo chiamò il paradiso dei topi.
Agli inizi del 1960 iniziò l’esperimento che chiamò Universo 25. Trentadue soggetti maschi e femmine vennero inseriti in un recinto strutturato in modo da contenere 3.500 esemplari e rifornito continuamente di alimenti e con riscaldamento e pulizia. Dopo 27 mesi la popolazione adulta raggiunse le 150 unità e avrebbe dovuto aumentare molto di più ma iniziò ad aumentare anche la mortalità infantile. Lo stress sociale provocato dallo spazio ristretto stava distruggendo ogni vincolo sociale e le femmine abbandonavano sempre più i loro piccoli. Nelle settimane successive si assistette ad una variazione nella struttura sociale: si formarono gruppi dove non esisteva nessun rapporto tra numeri di maschi e femmine (ad esempio 10 femmine e due maschi o 20 maschi e 6 femmine) ed iniziarono a distruggersi i rapporti sociali come i riti di accoppiamento, la costruzione di nidi e la cura della prole. I maschi divennero sempre più aggressivi formando gruppi che assalivano i soggetti soli o indifesi, principalmente le femmine, ma anche i maschi che venivano violentati esattamente come le femmine. Si formarono gruppi di sole femmine che si rifugiavano nei nidi più alti della colonia per difendersi meglio ma, stressate dalla necessità di difendersi, vennero meno alle funzioni materne abbandonando sempre più i piccoli a se stessi e a volte attaccandoli e uccidendoli. In alcune aree la mortalità infantile raggiunse il 96% e ci furono casi di cannibalismo, ovviamente non dovuti alla mancanza di cibo che veniva fornito in continuazione.
A questo punto dell’esperimento si formarono vari gruppi. I topi deboli e rifiutati, ancora validi fisicamente ma devastati psicologicamente, si radunarono al centro del recinto dove sopravvivevano inermi e con alcuni insensati atti di autolesionismo. I bruti, che devastavano fisicamente e psicologicamente gli altri gruppi. Le femmine che si radunarono sempre più nei nidi più alti dove facevano vita solitaria e il gruppo, che Calhoun chiamò “I Belli”. Questi non si lasciavano mai coinvolgere nelle relazioni con altri, nelle lotte, ed erano completamente disinteressati alla riproduzione, erano interessati solo a se stessi e le uniche attività erano mangiare, dormire e lisciarsi il pelo. A differenza degli altri soggetti gli appartenenti a questo gruppo non avevano tracce di ferite ed avevano un pelo bianchissimo. Attorno a loro continuava l’aggressività, la violenza, il cannibalismo e il pan sessismo.
Al giorno 560 la popolazione raggiunse le 2.200 unità e al giorno 600 la crescita si arrestò. I topi non riuscivano più a superare lo svezzamento ed i cuccioli morivano. Nelle settimane successive la popolazione iniziò a calare per le morti dei soggetti e anche quando la popolazione raggiunse i livelli numerici iniziali la società dei topi non si riprese: le femmine rifugiate nei nidi e i belli sopravvissuti avevano perso le capacità sociali, non avevano più relazioni. Avevano raggiunto una “morte sociale”, come la definì Calhoun, che precedette la morte fisica. Il Paradiso dei topi era diventato La fogna del comportamento.
Negli anni successivi Calhoun analizzò a fondo l’esperimento e ne trasse alcune conclusioni. L’eliminazione delle cause esogene/naturali della morte portava ad un aumento della popolazione e questo aumento alla sovrappopolazione. In un gruppo sovrappopolato venivano a mancare i ruoli sociali per tutti e i giovani si trovavano a lottare con gli adulti per prendere i posti già occupati ma questa lotta era così violenta da portare all’esaurimento dei contendenti, sia giovani che adulti, che ad un certo punto abbandonavano la lotta abbandonando l’organizzazione sociale.
I giovani nati in queste condizioni vengono abbandonati dalle madri e dagli altri adulti mentre l’alto tasso di contatti con altri soggetti costretti in situazioni di altra concentrazione abitativa costringe i soggetti a chiudersi sempre più in se stessi, ad isolarsi, a suicidarsi.
Secondo Calhoun non importa quanto l’uomo sia sofisticato, una volta che il numero di individui in grado di ricoprire un ruolo è superiore ai ruoli a disposizione si ha la distruzione sociale, i nuovi nati sono così distaccati dalla realtà da essere impossibilitati ad inventare e costruire strutture vitali. “La creazione di idee appropriate per il sostentamento in una società post-industriale sarebbe impossibile” .
C’è qualcosa di familiare in tutto questo?
Lo so che gli esseri umani non sono come i topi, noi siamo molto più intelligenti, ma guardandoci attorno non possiamo negare che nelle nostre città, e ancor più nelle megalopoli, ci siano sempre più donne che vivono sole, ci siano sempre più violenze contro le femmine e i maschi più deboli, che nei luoghi centrali si stia formando il gruppo dei “belli” impegnati ad accudire alla propria bellezza, al proprio corpo, incuranti di quanto accade attorno. Come in Universo 25 in Italia assistiamo al fenomeno della decrescita della natalità, fenomeno che si sta allargando anche alla popolazione immigrata, e che assegna alla nostra penisola il primato mondiale di minor fertilità al mondo.
Una comunità è come un rapporto a due o più persone: dura finché c’è una tensione che tende a fare stare assieme le persone; quando la tensione finisce inizia la decadenza ed infine si ha il crollo. Nelle città, e ancor più nelle megalopoli, non esistono più rapporti interpersonali, non esistono più aiuti reciproci, tutto è demandato a qualcuno di superiore che si deve occupare di tutto. L’urbanizzazione costringe l’individuo a vivere in una società totalizzante dove non ha più possibilità di scelta, di decisione, se non quella di cambiare canale tv o modello di telefono, e dove il massimo della protesta e del dissenso è un pollice verso in un social. Che una persona esista o no non cambia nulla, la vita continua immutata. Non esistono più le ritualità collettive, i riti di passaggio, i gruppi di coetanei, i colleghi di lavoro, tutto è massificato e programmato, tutto è disumanizzante, e con l’avvento delle Intelligenze Artificiali e dei robot tutto sarà ancor più disumanizzato e alienante.
Secondo le analisi della comunità Damanur il numero massimo di persone che può vivere assieme in una comunità si attesta sulle 200, massimo 220 persone, superato questo numero calano i rapporti interpersonali e il gruppo di sfalda. Quanti centri abitati abbiamo con più di 200 persone? Quante città con più di 200 MILA persone? Oggi abbiamo 10 megalopoli con più di 19 milioni di abitanti.
- Nel 2030 ci saranno 41 megalopoli con più di dieci milioni di abitanti
- Queste 41 megalopoli assorbiranno il 75% dei prodotti alimentari della terra.
- Oggi ogni settimana un milione e mezzo di persone lascia la campagna e i villaggi per andare a vivere in città.
Alla luce degli esperimenti di Colhoun e guardando quanto accade attorno a noi dobbiamo renderci conto che il problema non del futuro ma già di oggi non è solo dare un reddito minimo di sopravvivenza alle persone ma soprattutto dare un ruolo sociale, con impegni e responsabilità, altrimenti finiremo per implodere e, senza neppure bisogno di guerre purificatrici, finiremo per autodistruggerci distruggendo quanto abbiamo impiegato secoli per costruire: la nostra società.
© Galileo Ferraresi 18 marzo 2019
Nell’reticolo non si e poi detto nulla del comportamento e dell’evoluzione e conclusione dell’altro gruppo di ratti che non avevano le condizioni ottimali di cibo e confort ambientale.
In ogni caso ottimo articolo di riflessione e approfondimento su una tematica che fa pensare a quante idee malsane circolano a livello globale e come
alcuni perpetuano fi fatto tali ide e teorie
tramutandole in azioni ben mirate con programmi arbitrari e autonomi senza confronti e senza il “legittimo dubbio” che forse ci sono altri fattori anche naturali che possono regolare e normalizzare gli eventi che ci riguardano.
In natura ci sono REGOLATORI in parte conosciuti, in parte inesplorati e in parte rigettati per meri interessi di parte che regolerebbero egregiamente anche la demografia mondiale tanto temuta.