È notte, stiamo navigando verso est solo con la bussola, tutti gli strumenti sono tutti in tilt, a sud e a nord ci sono delle isole orlate di scogli ma non le vediamo: il cielo è coperto e non ci sono altre luce se non quella della torcia che ho in mano. Da alcune ore stiamo aspettando di vedere una luce a prua, la luce di un faro che ci guiderà verso un porto sicuro, e finalmente, proprio là dove doveva essere, appare una luce intermittente, è lui, il faro. A chi si deve questo meraviglioso ausilio alla navigazione?
Nel 305 prima della nostra era Demetrio I Poliorcete cinse d’assedio Rodi con navi e catapulte. L’assedio durò due anni e fu sciolto solo quando un alleato di Rodi, Politemo, arrivò con una flotta e colse alle spalle Demetrio costringendolo alla fuga. Per ricordare lo scampato pericolo gli abitanti di Rodi, usando anche dei materiali abbandonati da Demetrio, costruirono una statua alta circa 30 metri dedicata al dio Helios. Una mano della statua era fatta in modo da poter essere riempita di legname che, in eventi particolari, poteva essere incendiato. La statua restò in piedi dal 293 al 226 quando fu distrutta da un terremoto. Per la sua magnificenza fu considerata una delle sette meraviglie del mondo. Come la Statua della Libertà, che i francesi regalarono agli Usa e che ancor oggi troneggia all’ingresso del porto di New York, la statua non fu mai considerata un ausilio alla navigazione ma solo un elemento dall’alto valore estetico e simbolico.
Nel 332 Alessandro Magno conquista l’Egitto che due secoli prima era caduto in mano persiana e, per chiarire al mondo che lui era qualcuno, l’anno dopo fonda una città col suo nome, Alessandria, poi si dirige verso est e conquista tutta l’Asia fino all’Indo, rientra in Medio Oriente e muore. I suoi successori si dividono l’impero e, dopo anni di scontri e accordi, nel 306 l’Egitto viene definitivamente affidato ad un suo amico e generale, Tolomeo, che dà inizio alla dinastia dei Tolomei che terminerà poi con Cleopatra.
La progettazione urbanistica della nuova città, affidata all’architetto Dinocrate di Rodi, prevedeva due vie centrali larghe più di 30 metri fiancheggiate da portici su entrambi i lati, lampioni per l’illuminazione dal tramonto all’alba, condotte d’acqua sotterranee per portare l’acqua potabile in ogni casa del centro e, nella periferia, in ogni isolato. L’acqua, proveniente dal Nilo, prima di entrare in città passava attraverso vasche di decantazione e purificazione in modo da diventare potabile. Sotto all’impianto idrico era presente l’impianto fognario. Al centro della città, già nel 310, Tolomeo aveva fondato il Palazzo della Cultura di Alessandria, il Museo, così chiamato perché all’ingresso era presente una sala con le statue delle Muse. Accanto al Museo era la Grande Biblioteca nella quale Tolomeo volle fossero portati tutti i testi presenti all’epoca al mondo. Per ottenere questo il suo successore, Tolomeo II Filadelfo, oltre a chiedere copie ad altri regnanti e biblioteche, come quella di Pergamo, pose una particolare tassa: ogni nave che attraccava ad Alessandria doveva lasciare alla Biblioteca i libri che aveva a bordo, la Biblioteca avrebbe provveduto a farne una copia e a restituirla alla nave prima della partenza. Oltre alla Grande Biblioteca erano presenti altre biblioteche specifiche per argomenti, come il Serapeo, identificato archeologicamente, che conteneva 42.800 volumi a disposizione del pubblico. Ad Alessandria nacque il primo centro di ricerca e di cultura pubblico, mantenuto a spese dello stato; chiunque poteva accedere, indipendentemente dalle origini o dal reddito della famiglia d’origine. Egizi, greci, persiani, ebrei, indiani, libici studiavano assieme e mangiavano in una grande mensa dove gli studenti sedevano accanto alle più grandi menti del tempo. In pochi anni questo enorme investimento nella cultura diede i suoi risultati. Si sviluppò ogni tipo di scienza e tecnologia ed Alessandria divenne la città più ricca ed abitata del mondo. A due secoli dalla fondazione raggiunse il mezzo milione di abitanti e i suoi prodotti erano tanto raffinati e ricercati che i mercanti di tutto il mondo facevano la fila per ottenerli. A differenza di Roma che, soprattutto in epoca imperiale, era una città nella quale confluivano le merci dell’impero ma dalla quale non usciva nulla, ad Alessandria confluivano materie prime e ne uscivano prodotti lavorati caratterizzati dall’alto livello tecnologico. L’investimento dei Tolomei in cultura aveva sviluppato non solo la conoscenza ma anche l’economia. Mentre a Roma la popolazione era sempre più parassita e viveva di elargizioni di denaro ed alimenti, ad Alessandria non esisteva disoccupazione e anche i pochi schiavi presenti ricevevano un salario. La cultura alessandrina portò uno sviluppo economico tanto forte e consolidato che all’epoca della conquista araba esistevano ancora 400 tra teatri e luoghi pubblici di divertimento e 4.000 bagni pubblici con acqua calda, le terme.
Lo sviluppo culturale di Alessandria non produsse solo benessere ma anche apertura mentale. Come già detto ad Alessandria non esistevano preclusioni di razza, colore o religione (c’erano templi per ogni divinità che si desiderasse adorare) ma neppure sessuali: le donne avevano gli stessi diritti dei maschi, sia nello studio che nella vita quotidiana. Se per i romani era inammissibile che una donna fosse equiparata ad un uomo per gli alessandrini era la norma: le donne si sposavano solo se volevano e potevano richiedere il divorzio dal marito.
Tutto questo durò poco. Nel 145 Tolomeo VII Evergete, probabilmente corrotto dai romani, inizia una serie di persecuzioni ai danni della popolazione non egiziana di Alessandria costringendo la maggior parte dei docenti e allievi a lasciare l’Egitto. Per ovviare alla fuga dei dirigenti Tolomeo VII mette a capo del Museo e della Biblioteca un ufficiale dei suoi lancieri, un tale Cida, che non fa nulla. Alla morte di Tolomeo III assistiamo al ritorno di alcuni studiosi e allievi. Nei secoli successivi da Alessandria usciranno le opere di Aristofane e di Aristarco e le macchine idrauliche e a vapore di Erone, non poco se confrontato alla Svizzera che in tre secoli ha prodotto solo l’orologio a cucù, ma la spinta e lo splendore dei primi tempi era sparito per sempre.
Nel 391 della nostra era i cristiani assalirono e distrussero il Serapeo perché, a parer loro, contenente opere contrarie alla loro religione. Durante l’attacco fu ucciso Teone, l’ultimo direttore della Biblioteca d’Alessandria. Alcuni anni dopo, nel 415, sua figlia Ipazia, filosofa, astronoma e matematica, veniva linciata dai cristiani guidati da San Cirillo. Con l’assassinio di Ipazia il cristianesimo chiudeva definitivamente quel crogiuolo di cultura che fu il periodo ellenistico.
Alessandria era nata, ed è ancor oggi, sul delta del Nilo. Il suo porto era diviso in due da un ponte che collegava la città con l’isola posta di fronte sulla quale sono stati trovati i resti di un forte, di tre templi e di una necropoli. Ad est dell’isola, chiamata Faro, erano una serie di scogli sui quali attorno al 280 si iniziò la costruzione di una torre a base quadrata che, raggiunti i 40 metri d’altezza circa, cambiava la forma da quadrata in ottagonale fino a raggiungere i 90 metri1. Sopra questa struttura in muratura era un’altra struttura, sempre in muratura ma cilindrica che terminava con una cilindro metallico. Da questo cilindro usciva un fascio luminoso che poteva essere visto ad oltre 33 miglia. Ad Alessandria era stata sviluppata la matematica che permetteva di calcolare la forma degli specchi per concentrare la luce, tecnica già usata da Archimede per incendiare le navi romane durante l’assedio di Siracusa. Il ritrovamento di decine di lenti risalenti anche a 2.500 anni fa in varie parti del Mediterraneo testimonia una conoscenza degli strumenti ottici molto più sviluppata di quanto si pensasse solo alcuni decenni fa. Testimoni di secoli dopo parlano di una struttura meccanica con ingranaggi, all’epoca non più in uso, posta alla sommità del cilindro in metallo. Non sappiamo quale fosse la sorgente luminosa posta alla sommità, e non abbiamo documenti che ci dicano se la luce era fissa o mobile, ma sarebbe strano che gli alessandrini non avessero approfittato delle conoscenze dell’epoca e delle loro invenzioni per la luce posta sulla torre.
La torre luminosa dell’isola di Faro in breve divenne “Il Faro”, termine che usiamo ancor oggi per indicare un punto cospicuo, riconoscibile anche di giorno, e che di notte emette una luce che permette di identificarlo in base ad un codice luminoso di lampi ed oscuramenti ripetuti in un periodo fisso. Durante la conquista romana il faro era ancora in piedi ma non sappiamo fino a quando abbia emesso luce. La torre invece sopravvisse alla caduta dell’impero romano: viaggiatori arabi del 1400 parlano della parte quadrangolare della base del faro che era ancora in piedi.
Il medioevo fu caratterizzato dall’oscurantismo culturale e durante i secoli bui nessuno si pose il problema di illuminare la via a chi andava per mare.
Il primo lume arrivò da Genova che, attorno al 1128, costruì una torre di segnalazione sulla quale venivano bruciate fascine di erica o di ginestra per segnalare alle navi in arrivo la posizione del porto; non era ancora un faro come l’intendiamo oggi ma ci si avvicinava. Nel 1326 i genovesi non badano a spese e pongono sulla sommità della torre una lucerna ad olio d’oliva funzionante anche quando non ci sono navi in vista. È ancora a luce fissa, ma è il primo faro dell’età moderna.
Nel 1543 la sommità della torre viene ricostruita e il locale della lanterna è ricoperto di fogli di rame per meglio riflettere la luce. Nel 1841 la luce smette di essere fissa e, grazie ad uno speciale apparato, è resa rotante. Infine, nel 1936, arriva la corrente elettrica: un motore ruota la lanterna e la luce è fornita da lampade ad incandescenza che permettono una portata di ben 33 miglia, come il faro di Alessandria di 2.200 anni prima.
© 2014 Galileo Ferraresi