La coperta in teak

L’essenza di legno impiegata oggi sulla coperta di gran parte delle imbarcazioni da diporto fu in origine utilizzata per motivi militari

Può sembrare strano ma ci fu un tempo, durato alcune migliaia d’anni, durante il quale le coperte delle imbarcazioni non erano in teak. È vero che allora non esistevano quasi le imbarcazioni da diporto, ma perché mai oggi si è arrivati a mettere dei listelli di teak su delle coperte di vetroresina che sarebbero già sufficientemente stagne anche senza legno sopra?

Nell’occidente la scoperta del teak iniziò un paio di secoli fa. All’epoca le navi mercantili e militari erano in legno di quercia e quando uno scafo era colpito da una palla di cannone migliaia di schegge di legno volavano attorno ferendo e uccidendo i marinai. Poi le flotte occidentali arrivarono in estremo oriente e quando i cannoni inglesi colpivano le navi degli indigeni del Sud Est asiatico le palle foravano lo scafo senza provocare schegge perché questo era costruito in teak.

Alcuni decenni dopo la marina militare inglese iniziò a costruire parti dell’opera morta e delle sovrastrutture in teak e un giorno lo usò anche per la coperta di una nave. Fino ad allora per le coperte si usavano solitamente legni chiari in modo che col sole non scaldassero sottocoperta e non scottassero i piedi dell’equipaggio che era solitamente scalzo. L’uso del teak sembrava andare contro a questa logica ma non fu così, questa essenza infatti col tempo tende a sbiancare diventando un grigio sempre più chiaro.

Alla fine del secolo XIX il teak iniziò a comparire anche a bordo delle navi passeggeri in acciaio e degli yacht in legno dove veniva sempre più apprezzato per la sua particolarità di essere chiaro e quindi di non scaldare le cabine sottostanti.

Si narra che negli Anni 30 del secolo scorso un armatore napoletano si fece costruire una barca con la coperta in teak. A Napoli il sole scalda e la coperta nuova e scura scottava i piedi. Stanco di aspettare i tempi naturali di sbiancamento del teak il signore ogni mattina arrivava al circolo con un cesto di limoni: li tagliava a metà e li passava al suo marinaio che li strofinava sul legno in modo che il succo lo impregnasse. In poco tempo la coperta divenne bianca, calpestabile a piedi nudi e non scaldò più sottocoperta.

Mezzo secolo dopo le nuove barche non erano più in legno ma in vetroresina, bianca con antisdrucciolo. Fu allora che qualcuno decise di applicare sulla coperta uno strato di teak che non aveva altra funzione che quella estetica.

“Se qualcuno vuole il legno in coperta sarà bene che si veda che è legno”, deve aver pensato una società chimica americana, che mise in commercio un prodotto fantastico in grado di pulire, conservare e rendere ancor più simile al legno il sottile strato di teak delle coperte. Gli armatori, che già avevano speso molto per avere una coperta in legno, iniziarono il rito primaverile dello “spennellamento” del teak in modo da renderlo “color legno”, ovvero marrone scuro. Tutto ciò ovviamente implicava lo scottarsi i piedi quando si saliva in coperta e l’uso obbligato delle scarpe appena usciti dall’acqua del mare ma, come si sa, chi vuol abbellire deve soffrire.

Se la barca è in legno la coperta in teak ha un suo perché, ma se la barca è in un altro materiale il teak è solo un costo maggiore all’acquisto e un peso inutile. Premesso ciò ognuno è libero di spendere i propri soldi come crede.

Galileo Ferraresi

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